Maria Consiglia Rasulo
L’evento si è verificato lungo una faglia trascorrente destra, nota in letteratura come faglia di Petrinja, ed è stato preceduto da due scosse sismiche di magnitudo 4.7 e 5.2, verificatesi il 28 dicembre. Nelle ore e nei giorni successivi si sono inoltre verificate numerose scosse di assestamento che hanno raggiunto una magnitudo massima di 4.8.
Tramite la tecnica dell’Interferometria Differenziale Radar ad Apertura Sintentica (DInSAR), un team di ricercatori dell’Istituto per il Rilevamento Elettromagnetico dell’Ambiente del Consiglio Nazionale delle Ricerche (IREA-CNR) ha studiato il campo di deformazione superficiale indotto dall’evento sismico. In particolare, sono stati utilizzati i dati acquisiti dal satellite europeo Sentinel-1 il 18 e il 30 dicembre 2020 lungo orbita ascendente e il 23 dicembre 2020 e il 4 gennaio 2021 lungo orbita discendente, che hanno permesso di produrre gli interferogrammi mostrati in Figura 1a e 1b. In essi, ogni fascia di colore (frangia) indica uno spostamento del suolo di circa 2.8 centimetri, con una deformazione massima di circa 40 centimetri.
A partire dagli interferogrammi generati, sono state poi derivate le corrispondenti mappe di deformazione (vedi Figura 1c e 1d) tramite appropriate procedure note come phase unwrapping. Nel caso dell’orbita ascendente, la mappa mostra una deformazione caratterizzata da valori negativi fino a un massimo di -32 cm e valori positivi fino a un massimo di 38 cm, che indicano rispettivamente l’aumento e la diminuzione della distanza tra il sensore e il suolo. Nel caso dell’orbita discendente, la mappa mostra una deformazione caratterizzata da valori negativi fino a un massimo di -16 cm e valori positivi fino a un massimo di 29 cm.
Inoltre, combinando le mappe di deformazione ottenute dalle immagini Sentinel-1 ascendenti e discendenti, è stato possibile stimare gli spostamenti, sia per quanto concerne la componente verticale (Figura 1e), sia nella direzione est-ovest (Figura 1f). La mappa di spostamento verticale mostra un’area affetta da una subsidenza massima di -13 cm e da una zona in sollevamento con valori massimi di 19 cm; inoltre, la mappa di spostamento orizzontale mostra spostamenti massimi di 43 cm verso ovest e di 42 cm verso est.
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A seguito del tragico avvenimento, un team di ricercatori dell’Istituto per il Rilevamento Elettromagnetico dell’Ambiente (IREA, Napoli) del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) ha condotto uno studio approfondito, basato sull’elaborazione di dati radar satellitari, sui possibili movimenti pre-crollo associati all’area interessata dal disastroso evento nell’ambito delle attività svolte in qualità di Centro di Competenza per il Dipartimento di Protezione Civile Italiana per lo studio da satellite dei fenomeni di deformazione del suolo e del costruito. Tale studio ha dimostrato l’assenza di significativi spostamenti precursori del crollo del ponte Morandi, nelle osservazioni radar satellitari, in evidente contrasto con quanto riportato nel lavoro di Milillo et al. (2019) dal titolo “Pre-Collapse Space Geodetic Observations of Critical Infrastructure: The Morandi Bridge, Genoa, Italy”, pubblicato sulla rivista scientifica Remote Sensing, aprendo così nuovi margini di discussione.
“Le caratteristiche di questi sensori, in particolare la risoluzione spaziale molto spinta (pochi m) e la lunghezza d’onda molto corta (circa 3 cm)” aggiunge l’ing. Diego Reale, ricercatore IREA partecipante al team, “hanno consentito di effettuare un’analisi dettagliata delle deformazioni relative ad un’infrastruttura complessa come il ponte Morandi, in termini di densità di punti di misura e di capacità di monitorare nel tempo il comportamento dell’intera struttura, con accuratezze millimetriche”.
“I prodotti delle elaborazioni interferometriche ottenute utilizzando due approcci indipendenti e alternativi, quali la tecnica Small BAseline Subset (SBAS) e la tecnica di Tomografia SAR, hanno mostrato una significativa consistenza e similarità tra loro in termini sia di copertura spaziale sia di entità della deformazione misurata” sottolinea l’ing. Manuela Bonano, altro ricercatore IREA membro del team, “confermando la sostanziale assenza di movimenti superficiali precursori del crollo del ponte Morandi”.
I risultati ottenuti sono stati presentati nel lavoro dal titolo “Comment on “Pre-Collapse Space Geodetic Observations of Critical Infrastructure: The Morandi Bridge, Genoa, Italy”, by Milillo et al. (2019)", pubblicato a Dicembre 2020 sulla stessa rivista scientifica Remote Sensing.
Foto in copertina: LaPresse
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Sviluppare conoscenza, tutela, conservazione e valorizzazione del Patrimonio Culturale applicando la “Smart Innovation”: è questo il principale obiettivo di PAUN, un progetto finanziato da un bando competitivo POR e sviluppato dal Distretto ad Alta Tecnologia per i Beni Culturali (DATABENC) grazie al contributo di numerosi partner istituzionali e privati, quali l’Università degli Studi di Salerno, l’Università degli Studi di Napoli “Federico II”, l’Università degli Studi di Napoli “Parthenope”, Istituti di ricerca del CNR e numerose aziende con specifiche competenze nel settore delle tecnologie applicate ai Beni Culturali.
Il progetto mira a porre le basi per la realizzazione del Parco Archeologico Urbano della Città di Napoli a partire da un contesto unico al mondo per stratificazione e tipologie di rinvenimenti: l’area di Piazza Municipio che unisce il complesso di Castel Nuovo alla sottostante area archeologica in cui è stato individuato l’antico porto di Napoli risalente al II sec. Dc.
L’applicazione di tecnologie innovative e la loro integrazione con le conoscenze di tipo umanistico contribuiranno a migliorare la fruibilità del patrimonio culturale locale e potenziare l’attrattività turistica del territorio.
Ampio spazio nel progetto è dato anche all’analisi dei rischi a cui sono sottoposti i parchi archeologici in termini di usura delle aree e dei monumenti a causa di agenti ambientali (rischi geologici, idrogeologici e sismici) e antropici, compresi quelli derivanti dalla pressione turistica.
In quest’ambito si inseriscono le attività dei ricercatori dell’IREA che contribuiscono allo studio dello stato di conservazione, alla valutazione dei rischi e all’acquisizione di informazioni utili a pianificare interventi di tutela, conservazione e restauro, attraverso la realizzazione di una rete integrata di sensori per il monitoraggio del patrimonio archeologico, monumentale e ambientale del parco.
Vengono utilizzati sensori in fibra ottica per il monitoraggio della temperatura e delle deformazioni di ambienti e strutture; il telerilevamento satellitare per l’analisi delle deformazioni nelle aree di interesse fino alla scala dei singoli edifici e strutture e sono impiegati radar marini per il monitoraggio e le previsioni delle condizioni meteomarine nell’area del PAUN. Inoltre vengono effettuate analisi non invasive per la caratterizzazione dei manufatti di pregio e il rinvenimento di criticità relative alla conservazione.
I dati provenienti dalle reti di sensori dovranno confluire in un’unica piattaforma software che li renderà fruibili per valutare lo stato strutturale e i rischi a cui sono soggetti i vari elementi per pianificare le priorità degli interventi di salvaguardia e quindi garantire la trasmissione del patrimonio culturale alle generazioni future.
Di questo ha parlato Olga Zeni, ricercatrice dell’IREA e responsabile dell’Obiettivo Realizzativo 3 del progetto PAUN - Sistema di acquisizione dati per diagnostica e conservazione del patrimonio archeologico – in una video intervista pubblicata sul sito del progetto PAUN .
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La professoressa Maria Brovelli, docente I fascia del Politecnico di Milano e Associata ad IREA, è stata eletta Chair di un importante organismo di esperti delle Nazioni Unite dedicato alle tematiche e sfide dell’informazione geografica. Si tratta del UN-GGIM Academic Network.
UN-GGIM (Bureau of the United Nations Global Geospatial Information Management) ha lo scopo di indirizzare le sfide globali riguardanti l’uso dell’informazione geografica (GI) inclusa nelle agende di sviluppo, e di supportare l’azione politica nel settore della gestione di tale informazione. Per realizzare i propri obiettivi, il Bureau si appoggia alla rete di esperti accademici che sarà guidata dalla Professoressa Brovelli, e le cui funzioni principali sono le seguenti:
• fornire consulenza e guida a UN-GGIM riguardo a conoscenza strategica, ricerca, formazione e servire come braccio accademico nel raggiungimento degli obiettivi;
• mantenere un forum per il coordinamento e dialogo nella comunità GI con l’idea di far avanzare le attività legate alla gestione ed uso di GI e di identificare e raccogliere le sfide e opportunità che si presentano a UN-GGIM;
• fornire una piattaforma per la condivisione dei bisogni degli stati membri nel settore GI e delle capacità dei partecipanti alla rete accademica;
• contribuire ai Sustainable Development Goals (SDG) delle Nazioni Unite e ad altre aree di importanza fondamentale come l’accesso ai territori, i diritti di proprietà, il degrado del territorio, la rapida urbanizzazione e il cambiamento climatico.
Gli organismi di governo dell’Academic Network sono illustrati nella Figura. Le decisioni esecutive riguardanti la gestione della rete, il suo coordinamento e i meccanismi di adesione sono prese dal Chair e dal Deputy Chair.
L'IREA è uno dei 3 membri italiani dell’UN-GGIM Academic Network, insieme al Politecnico di Milano e all’Università La Sapienza di Roma.
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A Riccardo Lanari il Distinguished Achievement Award dell’IEEE Geoscience and Remote Sensing Society
Lunedì 28 settembre Riccardo Lanari, direttore facente funzioni dell’IREA, ha ricevuto l’IEEE GRSS Fawwaz Ulaby Distinguished Achievement Award 2020. Il prestigioso riconoscimento viene attribuito annualmente alla persona che per un periodo prolungato ha dato un significativo contribuito tecnico-scientifico allo sviluppo di tematiche di interesse per la Geoscience and Remote Sensing Society (GRSS) dell’Institute of Electrical and Electronics Engineers (IEEE), tra cui quelle legate all’ingegneria applicata al telerilevamento della terra, degli oceani, dell'atmosfera e dello spazio, incluse le metodologie per l'elaborazione, interpretazione e diffusione dei dati e delle informazioni acquisite.
In particolare, Riccardo Lanari - si legge nella motivazione del suo premio - si è distinto “per i contributi eccezionali e la leadership nei settori dell'elaborazione dei dati e dell’interferometria SAR”.
Nel corso della cerimonia virtuale per il conferimento dei major awards, il Presidente della IEEE Geoscience and Remote Sensing Society ha detto: “Riccardo Lanari ha svolto una attività di ricerca trentennale nel settore del telerilevamento e in particolare del radar ad apertura sintetica e dell’interferometria SAR. Ha dato inoltre un contributo fondamentale allo sviluppo della ben nota tecnica SBAS (Small BAseline Subset) che è oggi una tecnica di riferimento nel campo dell’elaborazione SAR interferometrica”.
Riccardo Lanari, come è stato anche ricordato durante la premiazione, è fellow dell’IEEE, un grado riservato ai membri che si sono distinti per risultati straordinari, di significativo impatto per la società e che hanno contribuito al progresso nel campo dell’ingegneria, della scienza e della tecnologia, e ha ricevuto la Christiaan Huygens Medal dalla European Geosciences Union per i significativi progressi nel settore delle Geoscienze, legati allo sviluppo di strumenti e sistemi per il trattamento dei dati acquisiti.
A due anni dalla scoperta di un lago sotto la calotta polare meridionale del pianeta Marte, pubblicata nel 2018 nella prestigiosa rivista scientifica Science da un gruppo di ricercatori e tecnici italiani, un team formato da ricercatori dell'Università Roma Tre, del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR-IREA, Napoli), dell'Università Jacobs (Brema, Germania), della University of Southern Queensland (Centre for Astrophysics: Toowoomba, Australia) e dell'Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF), ha trovato prova ulteriore dell'esistenza di laghi di acqua salata intrappolati sotto il ghiaccio del Polo Sud marziano.
Oggi un nuovo articolo, "Multiple subglacial water bodies below the south pole of Mars unveiled by new MARSIS data", pubblicato sulla rivista scientifica Nature Astronomy, spiega come l’acquisizione ed analisi di nuovi dati radar abbia rivelato risultati inaspettati.
In questo nuovo lavoro, l’analisi ha riguardato dati acquisiti dal radar MARSIS (Mars Advanced Radar for Subsurface and Ionosphere Sounding) nel corso di più campagne dal 2010 al 2019, in un’area di 250×300 km2 che include il lago salato precedentemente individuato nel lavoro del 2018.
L’analisi dei dati ha confermato la presenza del lago e fornito risultati che mostrano la presenza di tre nuove aree caratterizzate da pozze liquide. Va sottolineato come la metodologia di analisi dati impiegata è quella comunemente utilizzata con i georadar per rilevare la presenza di laghi subglaciali in Antartide, Canada e Groenlandia. Pertanto, la metodologia di elaborazione impiegata nel presente lavoro è completamente diversa da quella utilizzata nel lavoro apparso su Science e aumenta la confidenza nei risultati dei due lavori.
La possibilità di estesi corpi idrici ipersalini su Marte è particolarmente eccitante a causa del potenziale per l'esistenza di vita microbica. I corpi di acqua alla base del Polo Sud marziano rappresentano aree di potenziale interesse astrobiologico e sarebbe auspicabile che future missioni su Marte si focalizzino su questa regione per acquisire nuovi dati in relazione al sistema idrologico basale, alla sua chimica e a tracce di attività astrobiologica.
La scoperta è frutto del lavoro di un team multidisciplinare composto da tredici ricercatori tra fisici, geologi ed ingegneri, nel quale è coinvolto anche Francesco Soldovieri dell’Istituto per il rilevamento elettromagnetico dell’ambiente (Irea) del Cnr: "Il mio contributo ha riguardato principalmente due aspetti della ricerca: primo l’interpretazione geofisica dei risultati derivanti dall’analisi dati per l’individuazione dei laghi di acqua salata; secondo, lo sviluppo e l’impiego di un approccio di inversione, basato su una modellistica elettromagnetica, che ha consentito di stimare il valore di permittività dielettrica delle zone sottosuperficiali indagate, parametro chiave per distinguere le pozze di acqua dal restante sottosuolo secco".
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Nel corso dell’Assemblea Generale dei soci della Società Geologica Italiana 2020, che si è tenuta in via telematica il giorno 18 settembre 2020, il Dott. Giuseppe Solaro, ricercatore geofisico del CNR-IREA è stato insignito del prestigioso premio “Ricerca applicata allo studio delle pericolosità geologiche” per il biennio 2018-2019. L’attività di ricerca del Dott. Giuseppe Solaro - si legge nella motivazione del suo premio - ha una grande incidenza nel campo dello studio delle pericolosità geologiche e della loro prevenzione, tenuto conto in particolare della sua elevata specializzazione nel campo della valutazione delle deformazioni del suolo per mezzo di tecniche SAR interferometriche.
Giuseppe Solaro, Laureato in Scienze Geologiche presso l’Università di Napoli “Federico II”, ha conseguito il titolo di Dottore di Ricerca in Scienze della Terra presso la medesima università. Nel 2003, nell’ambito delle attività di dottorato, è ‘visiting student’ all’Università Blaise Pascal di Clermont-Ferrand in Francia, svolgendo la propria attività di ricerca presso il ‘Laboratoire Magma et Volcans’ per la modellazione analogica delle deformazioni superficiali del complesso vulcanico del Somma-Vesuvio. Dal 2005 al 2010 è Assegnista di Ricerca presso l’Osservatorio Vesuviano (INGV) dove si occupa della generazione di mappe e serie temporali di deformazione da dati SAR interferometrici per l’analisi di fenomeni vulcanici dei dei vulcani napoletani ed integrazione con tecniche di geodesia classica. Dal 2010 è Ricercatore a tempo determinato presso l’IREA-CNR di Napoli e nel 2013 diventa Ricercatore a tempo indeterminato presso il medesimo istituto. La sua attività di ricerca riguarda principalmente lo sviluppo di algoritmi per la generazione e per la modellazione geofisica, sia in ambiente numerico che analitico, di mappe e serie storiche di deformazione ottenute con tecniche di interferometria radar ad apertura sintetica per l’analisi di fenomeni deformativi sismici, vulcanici e di dissesto idrogeologico.
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La sesta edizione dell’hackathon più grande al mondo, promosso dalla NASA e dedicato a tutti gli appassionati di Spazio, sarà completamente virtuale.
Si terrà nel weekend 3- 4 ottobre
Per il sesto anno consecutivo, il 3 e il 4 ottobre, Napoli sarà nella rete delle tantissime città di tutto il mondo (l’anno scorso sono state più di 200) che ospiteranno Space Apps, la sfida internazionale basata su un approccio di problem solving collaborativo e open-source. Come di consueto, sarà un weekend dedicato alla tecnologia spaziale e alle sue applicazioni terrestri, e i partecipanti lavoreranno in gruppo a diverse sfide, proponendo soluzioni innovative per vincere il titolo di Galactic Problem-Solver.
Ci sono due grandi novità in questa edizione: innanzitutto, Space Apps sarà completamente virtuale. Alla luce delle attuali restrizioni dovute alla pandemia di COVID-19, tutti gli eventi locali, incluso quello di Napoli, si svolgeranno esclusivamente online per garantire la salute e la sicurezza della comunità globale.
Un’altra novità è la partecipazione dell’INAF – Osservatorio astronomico di Capodimonte: la più antica istituzione scientifica partenopea si aggiunge alla famiglia dei partner locali, che anche quest’anno confermano la propria attività nell’organizzazione - il Consolato degli Stati Uniti a Napoli, il Dipartimento di Ingegneria Industriale dell’Università di Napoli Federico II, l’Istituto per il Rilevamento Elettromagnetico dell’Ambiente del CNR, e il Center for Near Space dell’Italian Institute for the Future.
Il 2 ottobre ci sarà un “virtual bootcamp”, poi sabato 3 ottobre alle 9:00 inizierà l’hackathon. La sfida si chiuderà domenica 4 ottobre alle 23:59. Le chat room con la possibilità di formare i team apriranno la settimana precedente: i gruppi dovranno essere formati da un minimo di due a un massimo di 6 membri: il focus di Space Apps è proprio la collaborazione, e i team di maggior successo spesso sono proprio quelli con abilità e competenze diversificate: coding, storytelling, creatività, scienze, ingegneria, tecnologia e molto altro ancora!
Il tema di questa edizione è “Take Action”, un invito ad agire e anche un promemoria per sottolineare che si può sempre fare la differenza, anche dal comfort e dalla sicurezza di casa. Il tema sarà declinato in queste 7 categorie: Observe, Inform, Sustain, Create, Confront, Connect e Invent Your Own Challenge.
Anche per l’edizione 2020, il Consolato Generale degli Stati Uniti a Napoli mette in palio dei premi speciali in denaro: i due team vincitori locali, che saranno poi candidati alla competizione globale come Global Nominees, riceveranno ognuno 500 Euro. Anche quest’anno il Center for Near Space (CNS) dell’Italian Institute for the Future, impegnato da sempre sugli studi anticipatori legati all’espansione dell’umanità nello spazio, metterà in palio il premio nazionale “Il Futuro Prossimo Possibile” di 500 Euro per il team che, rispondendo ai temi di Space Apps 2020, meglio interpreterà la Vision sulla Città Cis-Lunare.
Tutti i dettagli sull’evento e il link per l’iscrizione sono disponibili sul sito.
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Mappa dell’evoluzione temporale di un’alluvione ottenuta dalla fusione di dati ottici e SAR |
Le tecniche di Machine Learning e di Deep Learning consentono di estrarre informazioni utili dai dati telerilevati di Osservazione della Terra (OT) in molteplici ambiti applicativi. Esse sono largamente utilizzate per affrontare problemi di classificazione tematica, di regressione o di selezione ed estrazione di features significative. In particolare, esse rivestono una fondamentale importanza quando è necessario analizzare una ingente mole di dati come nell’analisi di serie temporali o quando si ha a che fare con dati a risoluzione molto elevata. In tali casi, le tecniche di Machine e Deep Learning vengono applicate non solo per risolvere i suddetti problemi, ma anche per affrontare nuovi paradigmi di apprendimento come l’Active e il Transfer Learning.
Ad esempio, per effettuare lo studio dei cambiamenti dell’uso e della copertura del suolo, legati a variazioni antropiche o al manifestarsi di eventi disastrosi, quali frane ed alluvioni, è necessario analizzare un insieme di immagini multi-temporali ed anche multi-sensore della stessa area geografica. Le tecniche di Machine Learning si sono dimostrate particolarmente efficaci per estrarre informazioni utili da una ingente quantità di dati multi-temporali, multi-sensore, multi-risoluzione e multi-piattaforma, a cui spesso è necessario associare misurazioni in situ per ottenere una conoscenza precisa ed un’interpretazione accurata di situazioni complesse. Nel caso delle inondazioni, l’applicazione di tali tecniche ha consentito di effettuare mappature delle aree interessate e la loro evoluzione nel tempo, integrando dati SAR (intensità e coerenza) tradizionalmente usati in questo ambito, con modelli idrologici, dati ottici ed altre informazioni ancillari. Tali tecniche possono essere molto utili anche nell’analisi e nell’interpretazione di lunghe serie temporali di valori di spostamento derivati con tecniche in interferometria SAR differenziale, con l’obiettivo di individuare e classificare i diversi tipi di deformazione che interessano i bersagli radar al suolo.
Negli ultimi anni, le metodologie di Deep Learning sono diventate uno degli argomenti di punta nell’ambito del Remote Sensing. Si tratta di reti neurali con un numero molto elevato di strati nascosti, in grado di calcolare features opportune direttamente dai dati, senza utilizzare quelle definite a priori. Grazie a tali caratteristiche, le loro accuratezze in classificazione superano di gran lunga quelle ottenute con altri metodi. Le applicazioni di tali reti sono molte-plici e particolarmente interessanti si sono rivelate le reti Deep pre-addestrate, utilizzate per estrarre features predefinite (deep-features) che hanno la proprietà di essere invarianti rispetto al dominio. Esse si sono dimostrate utili nel dominio delle immagini telerilevate per estrarre, ad esempio, le informazioni relative al contesto spaziale nell’analisi delle immagini VHR.
Mappa di umidità del suolo (SSM) ad 1km di risoluzione derivata da una composizione di immagini Sentinel-1 (S-1) acquisite in 6 giorni sul Mediterraneo e relativa mappa di deviazione standard (st. dev.) (progetto ESA SEOM “Exploitation of S-1 for Surface Soil Moisture Retrieval at High Resolution (Exploit-S-1)”) |
I sensori di Osservazione della Terra (OT) a microonde sono molto sensibili al contenuto idrico della superficie (e.g., 0-5 cm) dei suoli (SSM) e della vegetazione (VWC) perché esiste un forte contrasto tra la costante dielettrica relativa dell’acqua (ε_r~80) e quella del suolo o della vegetazione secchi (ε_r~3-5). Inoltre, le osservazioni a microonde risultano sensibili alla morfologia superficiale dei suoli (rugosità) ed alla geometria delle piante (struttura) che costituiscono le superfici di separazione con l’aria (ε_r~1). Per questi motivi, il telerilevamento a microonde è la principale sorgente d’informazioni a larga scala di SSM e VWC.
In particolare, SSM è una variabile climatica essenziale (ECV) che svolge un ruolo importante nello scambio di acqua, energia e flussi biochimici tra la superficie terrestre e l'atmosfera. D’altra parte il VWC è fortemente correlato alla biomassa, anch’essa una ECV, e ricopre un importante interesse in applicazioni agricole perché rappresenta un indicatore di stress idrico delle piante. I sistemi a microonde passivi (radiometri) forniscono informazioni a bassa risoluzione (≳25 km) mentre quelli attivi e coerenti (SAR) raggiungono alte risoluzioni (≲0.1 km) e, per questo motivo, sono potenzialmente più idonei in molte applicazioni su superfici terrestri.
La stima di questi parametri attraverso modelli fisici si basa su approcci di minimizzazione dell’errore quadratico tra l’osservazione radar e la sua previsione teorica. Tuttavia, questi problemi risultano spesso mal posti e la loro soluzione richiede l’integrazione d’informazioni a priori sullo stato dei suoli e della vegetazione. Quest’ultime possono essere attinte da misure in situ, da modelli ecologici o da altri dati OT, per es., dati ottici. Metodi alternativi e, spesso, più robusti utilizzano tecniche di change detection che sfruttano l’alta risoluzione temporale delle più recenti costellazioni di sensori SAR - come Cosmo-SkyMed dell’Agenzia Spaziale Italiana (ASI), Sentinel-1 (S-1) di quella Europea (ESA), la costellazione RADARSAT Canadese (CSA) o la futura SAOCOM di quella Argentina (CONAE) - unitamente alle proprietà di variabilità spazio-temporale dei parametri superficiali. Per esempio, SSM, al contrario della rugosità dei suoli, del VWC e della struttura della vegetazione, varia lentamente nello spazio ma molto velocemente nel tempo (1-3 giorni). Per questo motivo, le tecniche di change detection riescono ad isolare i cambiamenti “veloci” di SSM da quelli “lenti” degli altri parametri superficiali. In particolare, la sistematicità delle acquisizioni del sistema S-1, che ha un tempo di rivisita medio di ~3 giorni in Europa, e la libera distribuzione del dato, hanno consentito un forte sviluppo dell’uso del SAR anche per la stima pre-operativa di SSM a ~1 km di risoluzione (un esempio di prodotto è riportato in figura). Inoltre, integrando informazioni di dati OT da sensori ottici, come quelli acquisiti dalla costellazione Europea Sentinel-2, è possibile ulteriormente separare cambiamenti di VWC da quelli di rugosità superficiale e dunque non solo migliorare la risoluzione spaziale delle stime di SSM fino alla a scala di campo (~0.1 km), ma anche ottenere stime affidabili dei cambiamenti di rugosità dei campi agricoli e di VWC e la identificazione precoce di campi irrigati.
Una delle attività di ricerca irea
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Caratterizzazione degli effetti di impulsi elettrici ultracorti per il controllo di processi biologici
L’esposizione di cellule di mammifero a campi elettrici pulsati di…