Intervista a Olga Zeni su HealthDesk a seguito della pubblicazione del parere finale dello SCENIHR sui potenziali effetti dei campi elettromagnetici sulla salute.
Smartphone, tablet, access point wi-fi sono diffusi ormai in ogni casa e in ogni luogo e in futuro avranno buona compagnia con l'arrivo dei cosiddetti dispositivi indossabili (wearable device), come l'orologio e gli occhiali smart. Tanto basta per tornare a parlare di rischi per la salute: il rischio di tumori, leucemie e linfomi, malattie neurodegenerative, è stato più volte messo in relazione con l'esposizione ai campi elettromagnetici producendo non poco allarmismo.
Basta guardare alla cronaca di questi giorni. Proprio mentre il Consiglio dei Ministri sembra intenzionato a diffondere la tecnologia wireless nei luoghi pubblici, come scuole, ospedali e uffici, in Emilia Romagna alcuni consiglieri regionali del Movimento 5 Stelle hanno chiesto di bandire il wi-fi in tutti i nidi, nelle scuole dell'infanzia e in tutte le scuole primarie di primo e secondo grado per "attuare il principio di precauzione e dare ascolto ai tanti genitori che chiedono sicurezza per i loro figli".
Non si tratta, tuttavia, di timori solo nostrani. Anche il New York Times, nel mese di marzo, ha pubblicato un articolo in cui prova ad analizzare i pericoli dei futuri wearable device a partire dagli studi svolti finora sui cellulari e che sostengono un possibile "effetto carcinogeno" per chi li utilizza.
L'opinion della Commissione europea
Ma si tratta di timori fondati? Secondo le principali istituzioni di sanitarie, la risposta è no. A marzo scorso il Comitato scientifico sui rischi sanitari emergenti della Commissione Ue (SCENIHR) ha pubblicato la sua opinion finale sui potenziali effetti sulla salute dei campi elettromagnetici non ionizzanti, inclusi i campi a radiofrequenza (RF-EMF), emessi da antenne per la telefonia mobile, antenne radio-TV, wi-fi, telefoni cellulari, e quelli a frequenze estremamente basse (ELF), derivanti dalle linee di trasporto dell'energia elettrica che alimentano gli elettrodomestici e apparecchiature in casa e in ufficio.
Il verdetto è stato un'assoluzione. «I risultati delle attuali ricerche scientifiche mostrano che non ci sono evidenti effetti negativi per la salute se l'esposizione ai campi elettromagnetici rimane al di sotto dei livelli raccomandati dalla normativa europea. Nel complesso, gli studi epidemiologici sull'esposizione ai campi elettromagnetici a radiofrequenza non mostrano un aumento del rischio di tumori cerebrali. Inoltre, essi non indicano un aumento del rischio per altri tumori della regione della testa e del collo», si legge sul sito SCENIHR.
«Si tratta di upgrade dell'opinion del 2009, un aggiornamento necessario vista la comparsa in letteratura di nuovi studi sull'argomento», ci spiega Olga Zeni, ricercatrice dell'Istituto per il Rilevamento Elettromagnetico dell' Ambiente (IREA) del CNR, che ha preso parte alla revisione europea. «In particolare, abbiamo preso in esame gli studi sui campi elettromagnetici non ionizzanti, svolti nel periodo 2009-2014, per valutare l'eventuale insorgenza di effetti non termici. Infatti gli effetti non termici sono quelli che possono derivare da esposizioni a lungo termine a bassi livelli di campo, quali quelli a cui siamo sottoposti nella vita di tutti i giorni ».
Il team ha analizzato circa 900 lavori scientifici, tra cui studi epidemiologici, studi in vivo e in vitro e studi sull'uomo, prendendo in considerazione solo quelli più rigorosi e già passati al vaglio di revisioni precedenti. Sotto esame i campi elettromagnetici a radiofrequenza (cellulari, wi-fi, stazioni radio-televisive, cordless), a bassa frequenza (linee di trasmissione dell' energia elettrica) e anche la banda dei terahertz utilizzata nelle applicazioni industriali e biomedicali.
I risultati emersi per ogni tipo di frequenza in relazione alle varie patologie sembrano scagionare le onde elettromagnetiche, o comunque non poterle condannare con certezza.
«Per quanto riguarda le radiofrequenze gli studi epidemiologici non mostrano indicazione di un legame tra utilizzo dei cellulari e aumentato rischio di tumori cerebrali o della regione testa-collo e non supportano l'aumentato rischio di glioma», continua la ricercatrice italiana.
Per i disordini neurodegenerativi, come la demenza e l'Alzheimer, e i danni al sistema riproduttivo, gli studi presi in analisi dallo SCENIHR non mostrano prove evidenti di un aumentato rischio derivante dall'esposizione ai campi elettromagnetici.
«Nel caso delle basse frequenze, gli studi epidemiologici esistenti confermano l'eventuale rischio di leucemie infantili in caso di esposizione media giornaliera superiore a 0,3-0,4 microtesla», spiega Zeni. «Tuttavia, non è stato individuato un meccanismo plausibile alla base della correlazione, manca cioè la prova di un'associazione causa-effetto».
Il Comitato ha preso in esame anche gli studi in vivo e in vitro sugli effetti cooperativi, cioè quelli derivanti dall'interazione tra campi elettromagnetici non ionizzanti e utilizzo di sostanze chimiche o agenti fisici ionizzanti (come raggi X e gamma). Anche in questo campo gli studi sono limitati ma alcuni farebbero emergere un effetto benefico dell'esposizione ai campi elettromagnetici: «non sappiamo ancora il perchè e anche noi dell'IREA-CNR stiamo studiando il fenomeno, ma è emerso che, in determinate condizioni, se una coltura cellulare viene prima esposta a onde elettromagnetiche e poi trattata con un agente chimico o fisico, gli effetti nocivi di quest'ultimo risultano ridotti».
Una relazione mai dimostrata
Come succede ogni volta che si tratta un argomento "caldo", le reazioni al contenuto dell'opinion non si sono fatte attendere. Alcune associazioni hanno giudicato il documento SCENIHR come di parte sostenendo che avrebbe preso in considerazione solo gli studi negazionisti del rischio sulla salute. Non solo, buona parte dei membri della Commissione è stata accusata di conflitto di interessi.
Eppure i risultati dell'opinion non sono del tutto nuovi. Già altre istituzioni internazionali e nazionali si sono pronunciate in tal senso. L'Organizzazione mondiale della sanità (OMS), per esempio, e anche gli americani Centers for Disease Control and Prevention, affermano che non ci sono evidenze scientifiche di danni alla salute derivanti dai cellulari e che servirebbero ulteriori studi per determinare la correlazione causa-effetto, che in ambito scientifico è la prova che un determinato fattore e non qualcos'altro provoca l'effetto osservato, e gli effetti a lungo termine.
Dello stesso tenore le affermazioni del Ministero della Salute, che rassicurano circa i livelli a cui siamo quotidianamente esposti: «allo stato attuale delle conoscenze non sono stati evidenziati effetti nocivi sulla salute. Gli unici effetti sanitari avversi delle onde a radiofrequenza ad oggi accertati sono quelli di natura termica», si legge sul sito. «Questi effetti si verificano solo a livelli di esposizione molto elevati, superiori di alcuni ordini di grandezza rispetto a quelli prodotti dai telefoni cellulari, a loro volta superiori di un fattore 1.000 o 10.000 all'esposizione a corpo intero che si può ricevere a breve distanza da antenne radio-base o da un modem wi-fi».
Nonostante questo, tanta gente e una parte della comunità scientifica continuano a non sentirsi sicuri.
A febbraio scorso 50 associazioni e comitati di cittadini, insieme a medici, fisici, biologi e ricercatori, hanno presentato un appello al Governo chiedendo di non modificare i limiti di esposizione a campi elettromagnetici non ionizzantie sottolineando «i rischi per la salute legati all'esposizione crescente a campi elettromagnetici a radiofrequenza e microonde emessi da cellulari, tablet, smartphone, antenne wi-fi, ecc ecc». Il Consiglio dei Ministri, infatti, sta vagliando due provvedimenti sulla banda larga e sulla crescita digitale, che prevedono l'innalzamento dei limiti elettromagnetici in vigore in Italia (6 Volt/metro nei luoghi dove si soggiorna per più di quattro ore) e la diffusione massiccia della tecnologia wireless.
A sostegno del loro appello, medici, scienziati e cittadini hanno citato in particolare la revisione svolta nel 2011 dall'Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC) che finì per classificare i campi elettromagnetici a radiofrequenza come possibili cancerogeni in classe 2B.
Ma a leggere tra le righe, anche quello studio non ha mai messo una parola definitiva sul nesso tra cellulari e maggiore insorgenza di cancro, in particolare del glioma, trovando un'evidenza scientifica "limitata". La categoria 2B viene infatti utilizzata quando un'associazione causa-effetto è ritenuta credibile ma non è possibile escludere con certezza il ruolo del caso o di distorsioni nell'ambito degli studi analizzati.
«L'opinion dello SCENIHR, che ha preso in esame gli studi successivi alla classificazione IARC, conclude che non esistono ad oggi prove di una correlazione causa-effetto tra l'esposizione a campi a radiofrequenza e l'insorgenza di glioma», conclude Olga Zeni. «Voglio precisare che l'opinion è stata oggetto di consultazione pubblica dopo la quale abbiamo incluso nell'analisi gli studi che erano sfuggiti e che sono stati segnalati dai cittadini. Rianalizzando il tutto abbiamo ottenuto sempre gli stessi risultati».