L’approccio DInSAR denominato SBAS, acronimo di Small BAseline Subset è una tecnica interferometrica che consente di generare mappe di velocità media di deformazione e di seguire l’evoluzione temporale degli spostamenti di singoli punti dell’immagine; questo può essere fatto a due scale spaziali: a media risoluzione (risoluzione al suolo di circa 100x100m) e a piena risoluzione (risoluzione al suolo di circa 10x10m) .
Una delle caratteristiche peculiari della metodologia SBAS è la possibilità di preservare le caratteristiche di ampia copertura tipiche dei sistemi di immagini satellitari. Per ottenere questo, la tecnica SBAS utilizza interferogrammi ottenuti a partire da dati satellitari acquisiti da orbite sufficientemente vicine (piccole baseline spaziali) e con tempi di rivisitazione non elevati (piccole baseline temporali). Queste caratteristiche consentono di minimizzare alcuni effetti (denominati rumore di decorrelazione spaziale e temporale) che disturbano i dati, aumentando il numero di punti per unità di area sui quali si riesce a fornire una misura affidabile della deformazione. I prodotti ottenuti con questo metodo sono, quindi, caratterizzati da un’elevata densità spaziale di punti monitorabili, i quali presentano un’accuratezza di circa 1 mm/anno sulle misure di velocità media di deformazione e di circa 5 mm sulle misure di deformazione (Casu et al., 2006). Inoltre, l’estensione tipica dell’area analizzabile (a media risoluzione spaziale) è dell’ordine dei 100x100 km, benché sia stata dimostrata l’applicabilità della tecnica anche ad aree molto più vaste. Una versione estesa dell’algoritmo SBAS, infatti, è in grado di generare mappe di velocità e serie storiche di deformazione in aree molto vaste (estensione spaziale dell’ordine di varie decine di migliaia di km2) e di fornire informazioni sulle caratteristiche spazio-temporali delle deformazioni individuate con accuratezze che sono risultate essere in linea con quelle tipiche dell’algoritmo SBAS convenzionale.
Un ulteriore sviluppo della tecnica sopra descritta, particolarmente importante per la continuità nel tempo del monitoraggio delle deformazioni superficiali, consiste nella possibilità di utilizzare congiuntamente dati acquisiti da sensori diversi, purché caratterizzati dalla stessa geometria di illuminazione. E’ questo il caso dei sensori messi in orbita dall’Agenzia Spaziale Europea, ERS-1/2 ed ASAR-ENVISAT, entrambi operanti in banda-C (5 GHz) e caratterizzati da frequenze portanti leggermente diverse. L’algoritmo sviluppato in IREA (Pepe et al., 2005) offre il vantaggio di poter estendere “temporalmente” le serie storiche ottenute con dati acquisiti dai sensori ERS-1 ed ERS-2 lanciati rispettivamente nel 1991 e 1995 e già (ERS-1) o in procinto di essere (ERS-2) dismessi. Tale estensione è possibile mediante l’utilizzo dei dati acquisiti dal sensore ENVISAT (in orbita dal 2002) e consente, pertanto, di ottenre una analisi dei fenomeni deformativi su intervalli temporali sempre più lunghi (dal 1992 ad oggi).
Da questa analisi ne consegue che l’elaborazione SBAS fornisce un grande numero di misure di deformazione, implicando, pertanto, la gestione di un’elevata mole di dati. Allo stato attuale le procedure SBAS disponibili permettono di ottenere mappe di deformazione e le relative serie storiche nell’arco di circa 30 giorni, per un data set di dati ERS-1/2 ed ENVISAT composto in media da circa 40-60 immagini.
La tecnica SBAS a media risoluzione spaziale è oramai consolidata ed è stata già sperimentata con esito positivo (utilizzando dati SAR ERS-1/2 ed ENVISAT) per lo studio di deformazioni in aree soggette a deformazioni di natura vulcanica, sismica, antropica, ecc.. In particolare, è stata applicata con successo all’analisi delle deformazioni dell’Etna del Vesuvio e del Pico de Teide (Fernandez et al., 2009), delle caldere dei Campi Flegrei (Trasatti et al., 2008) e di Long Valley; in tali contesti spesso sono stati individuati trend deformativi di grande entità (con tassi di spostamento compresi tra 1 mm/anno e qualche cm/anno) e caratterizzati da andamenti prettamente non lineari. Ad alcuni di tali risultati è stato dato risalto, tra l’altro, anche dalla stampa non specializzata nazionale ed estera (Science, Le Scienze, la Repubblica, Il Mattino, Il Corriere della Sera, etc.).
La tecnica SBAS a piena risoluzione spaziale è stata ampiamente applicata nello studio di dettaglio delle deformazioni di strutture antropiche. In particolare, sono stati analizzati deformazioni relative a singoli edifici.


I risultati ottenuti finora hanno dimostrato l’importanza di avere a disposizione dati ad alta risoluzione spaziale con tempi di rivisitazione più bassi possibile per l’analisi efficace delle deformazioni localizzate alla scala del singolo edificio. A tal proposito, la disponibilità di dati SAR acquisiti dai sensori di nuova generazione, come ad esempio la costellazione italiana COSMO-SkyMed ed il sensore TerraSAR-X, ha certamente ricadute importanti sullo studio e monitoraggio delle deformazioni che interessano singole strutture ed edifici isolati. Tali sensori, infatti, operanti in banda X, grazie alle loro elevate risoluzioni spaziali (circa 3m e fino a 1 m nella modalità denominata spotlight), alle accuratezze geometriche delle immagini prodotte e alla riduzione dei tempi di rivisitazione dei satelliti stessi (circa 8 giorni), diventano strategici per il monitoraggio del territorio, consentendo un controllo molto spinto delle aree urbane, grazie alla possibilità di rilevare anche movimenti differenziali degli edifici (movimenti intra-buildings).
A causa dei continui e lenti movimenti che hanno luogo nelle profondità del nostro pianeta, la crosta terrestre si deforma immagazzinando una certa quantità di energia elastica. Le deformazioni, e di conseguenza gli sforzi accumulati in un certo intervallo di tempo, si possono rilasciare improvvisamente attraverso rapidi scorrimenti ai due lati di spaccature della crosta stessa, dette faglie. Questo rapido scorrimento, causato dalla fratturazione delle rocce sottoposte a sforzo, genera un terremoto, che rappresenta quindi il rilascio violento dell’energia elastica accumulatasi nel tempo. Inoltre, il processo di deformazione avviene in tempi lunghissimi e continua fino a quando l'energia accumulatasi per l'azione di questi sforzi supera il punto critico di resistenza delle rocce per cui si ha la loro frattura.
con tempi di rivisitazione molto brevi (4 giorni), consente di seguire nello spazio e nel tempo in maniera molto più dettagliata rispetto a qualche anno fa, l’evoluzione del rilascio di stress accumulato durante e dopo il terremoto. In buona sostanza la tecnica satellitare DInSAR permette l’osservazione costante e dettagliata di aree tettonicamente attive anche molto estese e di aggiornare, rapidamente e con precisione, dati e informazioni relativi alla scena osservata anche laddove, misure puntuali in situ, sebbene spesso più precise, non sono agevolmente ottenibili. Ne discende che tale tecnica può fornire un valido supporto al fine dell’individuazione e del monitoraggio di zone sismiche e, conseguentemente, si pone anche come un potente strumento di pianificazione territoriale delle attività umane.
Durante la campagna sperimentale del 2004, il sistema OrbiSAR è stato montato su un velivolo RockwellTurbo Commander 690A. Sono stati effettuati undici sorvoli sull’area di Collazzone (PG): sei il 24 agosto 2004, cinque il giorno seguente. In tale area sono stati collocati due corner reflector. Al termine del primo giorno di sorvoli è stato manualmente spostato un corner reflector in direzione verticale, in modo da ottenere una variazione della distanza antenna-corner di circa 7.77 mm (pari ad un quarto della lunghezza d’onda impiegata). Lo spostamento relativo tra i due corner (proiettato lungo la direzione di vista del radar) è rappresentato dalla linea continua in Figura; i triangoli rappresentano, invece, lo spostamento misurato nei 29 interferogrammi a nostra disposizione.
L’ampia diffusione dei fenomeni franosi è causa di un elevato numero di vittime e d’ingenti danni economici alle proprietà pubbliche e private in Italia e nel resto del mondo. In particolare, se ci concentriamo sul caso italiano, gli eventi franosi costituiscono la principale causa di morte tra tutti i rischi naturali; nonostante ciò, la loro pericolosità è spesso sottostimata e scarsamente considerata dalla collettività. Al verificarsi di un disastro, infatti, i danni prodotti dalle frane sono spesso inclusi in quelli derivanti dai processi di attivazione (ad esempio inondazioni, terremoti, eruzioni vulcaniche), a scapito, quindi, di una dettagliata informazione sul rischio da frana. A tale contesto va aggiunto che la continua evoluzione del sistema Terra (cambiamenti climatici, incontrollato uso del suolo, urbanizzazione, deforestazione) rende ipotizzabile un aumento dei fenomeni franosi su scala globale.

